La fontana dimenticata
Nel cuore di Castelvecchio, dove il tempo sembra scorrere
più lento, si erge silenziosa una testimonianza di un'epoca passata: la fontana
del paese. Nata nel lontano 1900, quando l'acqua nelle case era un lusso,
questa fontana era il cuore pulsante della comunità, un punto di ritrovo e di
ristoro per generazioni di Castelvecchiesi. Il Pascoli in quel tempo gli ha
dedicato una poesia
LA FONTE DI CASTELVECCHIO.
La sua struttura in ferro levigato e arrugginito dal tempo e
dall'acqua, raccontano storie di fatiche e di speranze, di bambini che
giocavano spensierati e di anziani che si ritrovavano a chiacchierare all'ombra
dei suoi zampilli. L'acqua, che sgorgava fresca e limpida, dissetava i
contadini dopo una lunga giornata nei campi e le donne che lavavano i panni con
le mani arrossate.
Ma il tempo, inesorabile, ha portato con sé il progresso, e
le case di Castelvecchio si sono riempite di rubinetti e di comodità. La
fontana, un tempo indispensabile, è stata relegata ai margini della vita del
paese, dimenticata e trascurata. Eppure, nonostante l'abbandono, continua a
svolgere il suo compito, offrendo acqua fresca a chiunque si avvicini.
Nella sua struttura in lega di ghisa si notano i segni del
tempo e anche i fori di schegge dell’ultima guerra, ricoperta di muschio e di
licheni, conserva ancora la memoria di un passato glorioso, quando la fontana
era il centro della vita del paese. I suoi zampilli, che un tempo risuonavano
allegri, ora sussurrano storie antiche, come un'eco lontana di un'epoca che non
c'è più.
La fontana di Castelvecchio è un simbolo di un tempo che fu,
un monumento alla fatica e alla resilienza dei suoi abitanti. Anche se
dimenticata, continua a svolgere il suo compito, offrendo acqua fresca e un po'
di ombra a chiunque si fermi ad ascoltare la sua storia.
LA FONTE DI CASTELVECCHIO
di Giovanni Pascoli (Canti di Castelvecchio)
O voi che, mentre i culmini Apuani
il sole cinge d’un vapor vermiglio,
e fa di contro splendere i lontani
vetri di Tiglio;
venite a questa
fonte nuova, sulle
teste la brocca, netta come specchio,
equilibrando tremula, fanciulle
di Castelvecchio;
e nella strada che già s’ombra, il busso
picchia de’ duri zoccoli, e la gonna
stiocca passando, e suona eterno il flusso
della Corsonna:
fanciulle, io sono l’acqua della Borra,
dove brusivo con un lieve rombo
sotto i castagni; ora convien che corra
chiusa nel piombo.
A voi, prigione dalle verdi alture,
pura di vena, vergine di fango,
scendo; a voi sgorgo facile; ma, pure
vergini, piango:
non come piange nel salir grondando
l’acqua tra l’aspro cigolìo del pozzo:
io solo mando tra il gorgoglio blando
qualche singhiozzo.
Oh! la mia vita di solinga polla
nel taciturno colle delle capre!
udir soltanto foglia che si crolla,
cardo che s’apre,
vespa che ronza, e queruli richiami
del forasiepe! Il mio cantar sommesso
era tra i poggi ornati di ciclami
sempre lo stesso;
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