sabato 10 maggio 2025

Usanze pasquali barghigiane (e non solo)

Per la Veglia di Pasqua era abitudine portare in chiesa uova lessate insieme alla schiaccia, un dolce rotondo, lievitato, fatto con semplici ingredienti (uova, zucchero, burro, anici, uvetta)  per ricevere la benedizione ed essere poi consumati il giorno dopo durante il pranzo.  
Alcuni continuano a farlo, io compresa. 
La schiaccia (conosciuta in Garfagnana come pasimata) un tempo aveva una complessa lavorazione, una sfida di pazienza e cura, una vera e propria arte. 
Infatti la sua preparazione durava tre giorni con cinque lievitazioni. Ad ogni fase d'impasto corrispondeva, prima della cottura, un tempo di riposo in un luogo caldo. 
La sua riuscita non era scontata perchè anche una piccola variazione di temperatura poteva compromettere la riuscita della lievitazione. 
Quindi, molta attenzione agli spifferi, agli sbalzi! Pure una tovaglia o un pannetto la proteggevano. 
Ricordo la mamma sempre vigile, incerta della riuscita. Quando dopo la cottura (guai ad aprire il forno prima del tempo stabilito!), il dolce rimaneva basso e bruciacchiato, la delusione era tanta, mentre se  dorato, marrone in superficie, uniforme nel volume, grande era la soddisfazione! E non era per niente facile che avesse tutte queste qualità! Ricordo la mamma che difficilmente ne era contenta.
Naturalmente al termine del pranzo di Pasqua appariva sulla tavola.



La mamma ne preparava tante, non solo da essere consumate quel giorno, ma anche per Pasquetta e per tutta l'Ottava di Pasqua. Una, poi, andava lasciata per la domenica successiva, detta "domenica della Libertà"(la "domenica in albis"), tradizionale festa a Pieve Fosciana (mia mamma ha origini garfagnine).
Come per la schiaccia, così avveniva per l'uovo benedetto, condiviso e consumato da tutta la famiglia prima di cominciare il pranzo. La mamma lo tagliava a piccoli spicchi. Ognuno lo prendeva facendosi il segno della croce. Il guscio poi veniva messo sotto terra o gettato nel fuoco, considerati elementi sacri e purificatori, mai buttato nell'immondizia.
Tutto ciò diventava simbolo universale di rinascita: la celebrazione della resurrezione di Gesù viene associata al risveglio della natura della nuova stagione.


Accanto alla ritualità sacra, c'era una pratica ludica, da effettuare per Pasquetta, dal grande valore sociale e simbolico: il gioco del rotolino.

Nei giorni precedenti la Pasqua, soprattutto tra i ragazzi, prendeva vita.
Era una specie di bocce con le uova sode che si svolgeva  in un tratto di terreno leggermente inclinato, vicino casa, scelto apposta per farle rotolare meglio.
Mio fratello più grande andava in Corsonna a prendere la rena, poi la setacciava per liberarla dai sassolini e la stendeva su quel breve percorso che doveva essere liscio e uniforme perchè le uova corressero bene.
Ciascuno di noi fratelli aveva a disposizione delle uova lessate, ciascuno in egual numero, il cui guscio coloravamo con matite o in modo naturale (ricordo uso  bucce di cipolle e barbe rosse) dato che erano destinate ad essere consumate.
La gara consisteva nel far scivolare a turno le uova colorate, cercando di colpire quelle degli altri giocatori.
Chi vinceva otteneva in premio le uova degli altri.
Come ci divertivamo!


Ogni gesto, ogni oggetto, vissuto nella condivisione aveva un suo significato.


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