Per la Veglia di Pasqua era abitudine portare in chiesa uova lessate insieme alla schiaccia, un dolce rotondo, lievitato, fatto con semplici ingredienti (uova, zucchero, burro, anici, uvetta) per ricevere la benedizione ed essere poi consumati il giorno dopo durante il pranzo.
Alcuni continuano a farlo, io compresa.
La schiaccia (conosciuta in Garfagnana come pasimata) un tempo aveva una complessa lavorazione, una sfida di pazienza e cura, una vera e propria arte.
Infatti la sua preparazione durava tre giorni con cinque lievitazioni. Ad ogni fase d'impasto corrispondeva, prima della cottura, un tempo di riposo in un luogo caldo.
La sua riuscita non era scontata perchè anche una piccola variazione di temperatura poteva compromettere la riuscita della lievitazione.
Quindi, molta attenzione agli spifferi, agli sbalzi! Pure una tovaglia o un pannetto la proteggevano.
Ricordo la mamma sempre vigile, incerta della riuscita. Quando dopo la cottura (guai ad aprire il forno prima del tempo stabilito!), il dolce rimaneva basso e bruciacchiato, la delusione era tanta, mentre se dorato, marrone in superficie, uniforme nel volume, grande era la soddisfazione! E non era per niente facile che avesse tutte queste qualità! Ricordo la mamma che difficilmente ne era contenta.
Naturalmente al termine del pranzo di Pasqua appariva sulla tavola.
La mamma ne preparava tante, non solo da essere consumate quel giorno, ma anche per Pasquetta e per tutta l'Ottava di Pasqua. Una, poi, andava lasciata per la domenica successiva, detta "domenica della Libertà"(la "domenica in albis"), tradizionale festa a Pieve Fosciana (mia mamma ha origini garfagnine).
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