sabato 11 novembre 2023

 Modi di fare di un tempo

La vita, da bambina, era infarcita di usi e modi di fare pieni di significato. 
O si trattava di comportamenti da assumere prendendo come riferimento una data religiosa o un rapporto diretto con la vita della terra o, ancora, di occasioni dalle quali trarre gl'insegnamenti necessari per crescere. 
Di seguito, alcuni esempi:

Il giorno dell'Ascensione (40 giorni dopo Pasqua) era dedicato alla preghiera e al lavoro solo necessario, quindi anche il semplice ricamare non era accettabile. 
"Per l'Ascensione non fanno il nido neanche gli uccelli", mi disse una volta la mamma, mentre prendevo centrino e ago sedendomi sulla mia seggiolina,  come solevo fare nel tempo libero,  alternando il ricamo al gioco con la bambola.



All'inizio della Quaresima noi bimbe (il gioco è al femminile) ci mettevamo d'accordo per giocare al bel verde. La consegna era di tener sempre con noi un rametto di bussolo (bosso).  
Incontrandoci, chiedevamo l'una all'altra: "Dov'è il mio verde?". 
"In tasca e non si perde", ci affrettavamo a rispondere soddisfatte. 
Se venivamo scoperte prive del rametto (in genere nascosto dentro un calzettone o in una taschina), dovevamo scontare la penitenza. 
L'ideale era trascorrere tutto il periodo della Quaresima senza mai trovarsi in fallo.


A Messa, la domenica, noi bimbe andavamo ben vestite: abitino o gonna, calzettoni leggeri e scarpine, magari in pelle lucida. Naturalmente con la veletta in testa. 
Era l'abito della festa, non consentito negli altri giorni. Mai si trasgrediva. 
Un modo per dare importanza alla celebrazione cui partecipavamo. 
La mamma diceva: "Non mettere tutto a un pari!". 
E ci sentivamo belle e decorose.

                                                   

La mattina di San Lorenzo, a mezzogiorno, la mamma diceva a noi bambini di andare a cercare il carbone benedetto del Santo. 
Noi facevamo piccole buche con una paletta intorno ai filari delle viti, così trovavamo piccoli legnetti in decomposizione che la mamma teneva da parte. In occasione di un forte temporale con lampi e fulmini, li accendeva e li esponeva all'aperto, sotto la pioggia, recitando una preghiera per implorare il Santo perché cessasse il brutto tempo.




Verso la fine di settembre, di solito, cadevano le prime castagne. 
Chi attraversava una selva per raggiungere il paese, le vedeva spesso rotolare sullo stradello o fermarsi sui pendii confinanti. Così lucenti e salde apparivano ai miei occhi di bimba! Ma, come mi aveva raccomandato la mamma, le potevo raccogliere se erano nella strada, mentre sui poggi potevo farlo solo fino al 29 settembre, giorno di San Michele
Dopo quella data le castagne sarebbero state del proprietario della selva. 
E così facevo.


La vendemmia, nella nostra zona, avveniva generalmente nella seconda metà di settembre, ma comunque (ricordava sempre il nonno) non poteva andar oltre la Madonna del Rosario (7 ottobre) perché dopo quella data, la guazza e le ore diminuite di sole avrebbero solo danneggiato il raccolto  dell'uva.


Se noi bambini partecipavamo alla vendemmia di un podere vicino ( a noi piccoli sempre raccomandavano di raccogliere tutti gli acini caduti con le nostre manine) il proprietario per regalo ci dava una grossa penzana (due belle pigne appese ad una parte di tralcio) da portare a casa. Tutti  soddisfatti ringraziavamo. Potevamo mangiarle subito o appenderle (generalmente ad una trave) per consumarle più tardi. 
Ci pareva di avere un trofeo in mano!


Dopo la vendemmia vera e propria c'era il momento della ruspa, riservato a noi bambini. 
Di solito, venivano lasciati sui tralci i grappoli ancora acerbi e noi, dopo qualche giorno, passavamo tra i filari e li cercavamo per vedere se, nel frattempo, fossero maturati. 
Che soddisfazione trovarne tanti! Facevamo a gara tra noi. Attenti, spostavamo i pampini per scoprire qualche acino, magari appena "invaglito", lo staccavamo con cura senza tralasciarne neanche uno e tornavamo a casa felici del bottino. 
Senza esserne consapevoli, imparavamo a non sprecare nulla.


Nei giorni intorno a San Martino (11 novembre), preferibilmente con la luna piena,  avveniva il travaso del vino novello dalla botte alle damigiane, poi ricoperto da un po' d'olio d'oliva e un tappo di sughero, ben chiuso anche con un po' di stoppa. 
Mi sembra ancora di sentire diffondersi dalla cantina l'odore forte e inebriante del vino nuovo! 



Spesso le volpi erano solite infilarsi dentro un pollaio e fare strage di galline, causando un grave danno all'economia familiare. 
Così accadeva che, se la volpe veniva catturata (non era cosa facile!), dopo averla uccisa un ragazzo della famiglia la legasse per le zampe ad un bastone che poggiava su una spalla facendo il giro delle case intorno, così da mostrarla con orgoglio insieme alla richiesta sottintesa di una ricompensa.
Il fratello o l'amico che l'accompagnava teneva infatti al braccio un paniere per accogliere le uova che riceveva.
Naturalmente, tutti (chi più, chi meno)offrivano qualche uovo fresco.
Un pericolo in meno per il proprio pollaio!


Anche la festività della Befana, oltre a costituire un gran momento di festa per noi bimbi, poteva essere un'occasione educativa. 
Ricordo che io desideravo tanto una bambola grossa. La mattina del sei gennaio (avevo sei anni non ancora compiuti) scesi le scale e...la trovai sul pianerottolo. Bella era e grande, con un vestito lucido azzurro! 
Se chiudo gli occhi, la vedo ancora... 
Naturalmente, tramite la mamma, la Befana mi aveva lasciato le solite raccomandazioni: dovevo essere obbediente e attenta al mio fratellino di circa tre anni.
Lui aveva avuto in dono un carretto trainato da un cavallino e voleva giocare  all'aperto, ma io ero talmente "presa" da questa bambola che non lo tenni bene sott'occhio, mi distrassi e lui scivolò in una goretta d'acqua bagnandosi tutto. 
Tornata in casa, la mamma mi disse che, data la mia disobbedienza, era passata di nuovo la Befana per riprendersi la bambola, ma con la promessa di riportarla dopo tre giorni se mi fossi comportata bene. 
Così fu. Che lezione! Ancora vivissima in me! 
Al primo momento di disperazione, era subentrata  la fiducia di riaverla dato che così lei si era espressa con la mamma. Bastava mi comportassi bene: stava a me. Anche se questo, non mi liberava del tutto dall'ansia. Tuttavia sentivo che la Befana era di parola.









  

2 commenti:

  1. Ho letto con curuiosità, Maria. Scava nei penzieri e ce ne darai altre di "maniere di vita" d'un tempo. Grazie

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  2. Grazie Maria per il gradevole racconto degli usi, alcuni a me sconosciuti. Belle le immagini proposte ma soprattutto vivido il ricordo delle sensazioni vissute dai 'bimbi' che ancora confidavano nella comprensione e nella correttezza della Befana...

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