Era il primo anno che insegnavo alla scuola elementare. Avevo 18 anni, Mi toccò il posto in montagna. Durante la settimana abitavo in una casa del posto, avevo affittato una camera e potevo usare la grande cucina anche per conto mio. La scuola, lassù, non c'era ancora, la stavano costruendo: la stessa famiglia aveva messo a disposizione una stanza al piano superiore e quella era la mia aula e quella dei miei scolari.Era una vecchia casa costruita in
pietra, chiusa non molto bene, gli spifferi sarebbero dovuti servire affinché il foco tirasse meglio. Intorno aveva un’aia dove si trovava un grande
pozzo con acqua corrente, qui venivano allevate alcune trote.
Tutto intorno erano selve di castagni e case, anche sparse, dove
vivevano famiglie numerose.
La cucina della casa dove io vivevo era molto grande e da un
lato era sistemato un enorme camino, che serviva per riscaldamento e per
cucinare.Sopra il camino c’era una mensola ricavata da un trave di
castagno, dove erano appoggiate diverse scatolette, candele e alcuni lumi per
lumeggiare meglio la stanza.
Dall'interno del camino, al centro, calava giù una catena a
grandi maglie dove veniva attaccato il paiolo per cuocere le verdure, la
polenta e altro.
Ai lati del camino erano accatastati alcuni mattoni che
stando vicino al fuoco assorbivano calore e la sera quando i vecchi andavano a
dormire li arrotolavano ad uno ad uno in un panno di lana per metterli in fondo al letto per
tenere caldi i piedi.
Lì vicino c’erano una catinella e una brocca, l'acqua nei pressi del camino si stiepidiva. Appoggiate, le molle per attizzare le
legna sul fuoco e attaccati qua e là diversi mestoli, sempre a portata di mano. Dopo aver cenato, tutti si
riunivano in semicerchio davanti al camino. A vejo.
Spesso la nonna recitava il rosario, altre volte gli anziani
raccontavano bellissime favole che tutti
ascoltavano a bocca aperta.
Il calore del camino scaldava bene le persone che ne stavano difronte, ma alla schiena, nella stanza, rimaneva sempre più fresco.
Una di quelle sere che la nonna di casa mi invitò a mangiare con loro, rimasi contenta anche di partecipare alla preparazione della frittata con le
uova fresche delle loro galline, che venne cotta in una grande padella sopra le
fiamme del camino.
Quella sera, però, il fuoco non funzionava troppo bene e la nonna sventolava
continuamente sulla fiamma con una ventaglio, così riprendeva forza e guizzava in
alto, ma non saliva solo la fiamma in alto, ma veniva sollevata anche la
cenere che turbinava sopra la padella e a poco a poco ci cadeva dentro.
La frittata era quasi cotta per fortuna, ma con tutta la
cenere che vi era caduta era diventata grigiognola.
Io non sapevo come fare, perché non l’avrei voluta mangiare,
ma un po’ facendo finta e un po’ mangiandola per davvero, tutti consumammo in
allegria la cena.
Oggi, a distanza di tanti anni, ogni volta che preparo la
frittata ripenso con affetto e con nostalgia a quelle persone: una volta vivevamo in
modo molto semplice e agli ospiti offrivamo il cuore.
Sono rimasta con loro per tutto quell'anno scolastico.